Non riuscivo ad abituarmi
a quel cielo: chiaro di qua, scuro di là.
La mia casa non è
grande, un quadrato di 70 mq, possibile che il cielo fosse azzurro fuori dal
salotto, e grigio e minaccioso fuori dalla stanza da letto. E io come dovevo
vestirmi, e le bimbe? Stivali e mantella? Maglioncino e scarpe da ginnastica?
Monopattino o passeggino con telo pioggia? Ma poi era il cielo davvero il
problema oppure ci si nascondeva altro. Perchè quel cielo, o farei meglio a
dire, questo cielo, era anche capace di bellezza. Si tingeva di grigio scuro,
quasi nero, però rimaneva luminoso, le nuovole a strati disegnavano paesaggi.
Comunque quella mattina
non avevo scelta, non potevo indugiare oltre, bisognava uscire. Dopo un anno a
Londra, C. iniziava la scuola, quella vera, obbligatoria, quella per cui
bisognava arrivare in tempo, quella con le assenze, con piccoli compiti.
E così armate tutte e due
di coraggio, con la piccola nel passeggino, uscivamo di casa. Per lei il primo
giorno di scuola, e pure per me.
Mi sentivo ormai lontana
dal piccolo ambiente protetto della nursery, dove ero arrivata l’anno prima e
subito avevo conosciuto tutti i genitori. Era stata una delle cose facili del
trasloco a Londra. Quella comunità di genitori, quasi tutti stranieri, mi aveva
accolta subito, e portare C. a scuola era diventata la scusa per un caffè, una
chiacchierata, una trasferta fino in centro in compagnia.
Questa volta mi pareva in
salita, e non solo perchè la strada lo era, ma perchè era tutto nuovo, di
nuovo.
E così, non per la prima
volta, io e le bimbe partivamo verso qualcosa che non conoscevamo con quel
misto di timore e entusiamo di chi in fondo sa che tutto sarebbe probabimente
diventato anche questa volta bello, famigliare, facile, quotidiano, ma al
momento faceva fatica a crederci.