12 maggio 2016

Dati di fatto

Senza pretesa di giudizio, semplicemente osservo che:

- a scuola di C. non hanno i tovaglioli (ci sono metodi molto più creativi con cui pulirsi la bocca)
- ho dovuto scrivere una mail ad una Dear Baroness
- il week end scorso era più caldo a Londra che a Ibizia
- due giorni prima aveva nevicato
- come merenda danno a C delle carote che tirano fuori da sacchetto e non lavano o pelano (e nessuno è ancora morto)...ho sentito che in altre scuola le pulivano con le salviette, quindi forse meglio così.
- col sole la vita sorride assai.

23 aprile 2016

usavo scrivere di politica

Usavamo scrivere di politica, poi sempre meno, poi basta.
Non so, la politica inglese fa fatica ad appassionarmi, o forse è la mancanza di televisione, di tempo per leggere, oppure forse è ancora l'ambivalenza generale verso questo paese che fatico a considerare casa.
Però siamo in campagna elettorale qui. Si vota per il sindaco i primi di maggio e per il referendum sull'uscita dall'unione europea a fine giugno, e a proposito di quest'ultimo voto, ecco un estratto del discorso di Obama sulla faccenda. (approdato da queste parti per festeggiare il 90esimo compleanno della regina, ma questo è un altro discorso)  Forte. Schietto. Un po' arrogante. Ma non posso che essere in accordo.

22 aprile 2016

Come andare in bicicletta!

Tutti a dirmelo, non si dimentica, ma io, dopo 5 anni, un  po' di timore l'avevo.

Sono tornata al lavoro E tutto ritorna famigliare, anche se questo tutto è in realtà tutto nuovo:
- la pausa caffè è la pausa tea;
- le colleghe hanno nomi diversi,
- quando rispondo al telefono mi scappa da dire"University of California"

ma per il resto, tutto è proprio uguale, e, come per la bicicletta, basta risalire in sella, pedalare, prendere un po' di velocità e andare.

05 febbraio 2016

SHAKE IT OFF – WAKE UP SHAKE UP

Dicevamo che C. va adesso in una scuola vera, pubblica, di quartiere. Una scuola elementare normale, visto che qui le elementari inizano a 4 anni e mezzo.
E’ vicina a casa, belli spazi, per fortuna non troppo accademicamente “pushy” come dicono qui. Lo so, mi rimagerò quel “per fortuna” quando tra 4 anni dovrò pagare profumatamente un tutor privato per prepararla agli esami d’accesso alle superiori, ma per ora mi godo la bella atmosfera e quello che sembra un approccio più interessato alla persona che al rendimento.
Comunque, un mondo nuovo per me, fatto di lavagne elettroniche, video proiettati (scherzi?!, youtube ?! a scuola?!), alfabeto fonetico, p.e. (che alla riunione dei genitori non avevamo capito essere physical education), mensa con 100 studenti, etc. Un mondo che dobbiamo imparare a conoscere un po’ alla volta, e che ci regala sorprese e nuove abitudini, tipo quella del “wake up-shake up”.
Tutte le mattine, ore 8.55 (qui la scuola inizia per le 9.00) nel cortile della scuola parte la musica a palla e si balla, per cinque minuti, tutti insieme, studenti, insegnanti, genitori, preside, tutti. La coerografia cambia ogni 3 mesi. Da settembre a gennaio ci siamo scatenti con Uptown Funk di Bruno Mars, ora tocca a Shake it off di Taylor Swift.

Io sono passata dalla negatività e fastidio totale, ad una sorta di accettazione, fino, adesso, ad un sincero apprezzamento. 
In fondo, dopo l’uscita di casa sempre trafelata, corredata dalle urla “mettiti le scarpe, prendi la merenda, sbrigati, siamo in ritardo”, ballare insieme saltellando per cinque minuti, tutti i giorni, è un bel modo per salutarsi con un sorriso e iniziare un po’ energizzati la propria giornata.

25 gennaio 2016

Tre mesi fa - PRIMO GIORNO DI SCUOLA - Reception


Non riuscivo ad abituarmi a quel cielo: chiaro di qua, scuro di là.
La mia casa non è grande, un quadrato di 70 mq, possibile che il cielo fosse azzurro fuori dal salotto, e grigio e minaccioso fuori dalla stanza da letto. E io come dovevo vestirmi, e le bimbe? Stivali e mantella? Maglioncino e scarpe da ginnastica? Monopattino o passeggino con telo pioggia? Ma poi era il cielo davvero il problema oppure ci si nascondeva altro. Perchè quel cielo, o farei meglio a dire, questo cielo, era anche capace di bellezza. Si tingeva di grigio scuro, quasi nero, però rimaneva luminoso, le nuovole a strati disegnavano paesaggi.


Comunque quella mattina non avevo scelta, non potevo indugiare oltre, bisognava uscire. Dopo un anno a Londra, C. iniziava la scuola, quella vera, obbligatoria, quella per cui bisognava arrivare in tempo, quella con le assenze, con piccoli compiti.
E così armate tutte e due di coraggio, con la piccola nel passeggino, uscivamo di casa. Per lei il primo giorno di scuola, e pure per me.
Mi sentivo ormai lontana dal piccolo ambiente protetto della nursery, dove ero arrivata l’anno prima e subito avevo conosciuto tutti i genitori. Era stata una delle cose facili del trasloco a Londra. Quella comunità di genitori, quasi tutti stranieri, mi aveva accolta subito, e portare C. a scuola era diventata la scusa per un caffè, una chiacchierata, una trasferta fino in centro in compagnia.
Questa volta mi pareva in salita, e non solo perchè la strada lo era, ma perchè era tutto nuovo, di nuovo.

E così, non per la prima volta, io e le bimbe partivamo verso qualcosa che non conoscevamo con quel misto di timore e entusiamo di chi in fondo sa che tutto sarebbe probabimente diventato anche questa volta bello, famigliare, facile, quotidiano, ma al momento faceva fatica a crederci.

21 gennaio 2016

Tornare al lavoro?

Mi era sembrata pure una bella idea: l’annuncio delineava il lavoro che avrei sempre voluto fare, organizzazione prestigiosa, volendo part time, la location vista parco, vicino ai palazzi del potere, sulla linea giusta di metro, insomma, avevo deciso che ci sarei andata. 
Sì, ci sarei andata all’ “office open day” organizzato perchè i mortali che pensavano forse di fare domanda di lavoro potessero incontrare i fighissimi che già lavoravano lì, fare domande e capire se era il posto giusto per loro e viceversa. Ci sarei andata, così, per avere un’idea di com’era, e anche, diciamo la verità, per avere un paio d’ore tutte per me.

Sentivo da un po’ che forse era arrivato il momento di provarci. Ricominciare a lavorare.

Cinque anni da quando avevo lasciato il mio ultimo lavoro. Nel frattempo due figlie, 4 traslochi di qua e di là dell’oceano, un numero imprecisato di scatoloni fatti e disfatti, città scoperte o riscoperte, cibi diversi, amici persi, amici ritrovati, playgroup, babysitter, asili o simili. Ma soprattutto 5 anni immersa, per necessità e virtù, nel mondo dei bambini e della gestione della casa. Latte, pannolini, passeggini, sonno, mancanza di sonno, e ora amichette, liti, scuole etc...e aggiungeteci lavatrici, pranzi, cene, spese e chi più ne ha più ne metta.

Ecco, mi era sembrata una buona idea, e per fortuna mi ero pure vestita bene, perchè appena affacciata a quella sala avevo capito che no, non era stata affatto una buona idea. 
Attorno ad un ricco buffet, si erano formati capannelli di tre o quattro persone che chiacchieravano animatamente. In ogni gruppetto c’era un ricercatore dell’istituto e tre giovani donne o uomini, vestiti elegantissimi, tutti presi a dar mostra della loro competenza e interesse attraverso domande all’apparenza spontanee, ma in realtà preparate accuratamente. 
Uniche possibilità per me: la fuga, o il transformarmi in un camaleonte. Nessuna delle due fattibile, ahimè.

Mi unisco con nonchalance ad un gruppetto, ascolto e annuisco, noto il pancione della dipendente e mi viene voglissima di domandarle a che mese è, cosa pensa di fare dopo la nascita, se sa come la sua vita cambierà e se può immaginare adesso che poi forse si ritroverà in una sala piena di persone che parlano di governo e ricerca e a lei non verrà in mente niente di super intelligente da dire e non perchè non abbia niente di intelligente da dire in generale, ma perchè la testa è stata un po’ troppo tempo altrove e poi ci vuole allenamento per rientrare in pista.

Sorrido.


Penso anche che probabilmente non sa che sta per fare una delle esperienze più totalizzanti della sua vita, che scoprirà di avere delle risorse che non pensava di avere, che diventerà capace di fare ancora di più e che avrà un giorno anche il coraggio di presentarsi ad un “open office day” per un lavoro fighissimo completamente impreparata  e se anche non lo prenderà quel lavoro, riconoscerà in sè un coraggio nuovo.

due anni dopo...

"Nei giorni che avrai ti ritroverai
due anni dopo ancora quella faccia"
F. Guccini