04 febbraio 2008

la parola della settimana: gerrymandering



La parola della settimana è gerrymandering: l'atto di ritracciare i confini dei congressional district (le nostre circoscrizioni, più o meno) al fine di influenzare l'esito delle elezioni. Etimologicamente, deriva da E. Gerry, governatore del Massachusetts nei primi anni del 1800 e campione della tecnica, e salamander, dalla forma a salamandra che i distretti dello Stato avevano assunto dopo l'ennesimo ritocco.
Per i curiosi, il gerrymandering può essere fatto sostanzialmente in due modi: packaging consiste nel concentrare i voti dell'opposizione in un numero limitato di distretti; diluting, al contrario, li "spalma", diluendoli, in un numero elevato di distretti.

Perché il gerrymandering è di nuovo attuale? Alla vigilia del Super Tuesday, gli ultimi poll danno Hillary davanti ad Obama per un misero 2%. Con questi margini, non contano più le percentuali e i voti, ma come questi si traducono in delegati, ovvero come sono tracciati i distretti. E qui le cose si complicano. Prendiamo il caso della California. Dei 441 delegati assegnati nello Stato dell'oro, 71 sono riservati per party leader e altri ufficiali dello Stato, 129 sono assegnati in base all'andamento complessivo delle primarie e 241 sono allocati in base al voto in ciascun distretto. Non tutti i distretti sono uguali, però: in base all'affluenza negli ultimi anni, ciascun distretto può assegnare tra 3 e 5 delegati. Le regole di spartizione non sono affatto intuitive, col risultato che un vittoria risicata in un distretto da 3 delegati può portare gli stessi risultati (in numero di delegati) di una vittoria più larga in un distretto da 4. Complicato, no?
Per completezza, i Repubblicani adottano invece il più semplice modello del winner-take-all: il vincitore s'aggiudica tutti i delegati dello Stato.

Se l'esito di Martedì sarà davvero lo stallo tra Hillary e Obama, si aprirebbero diversi scenari. Uno (e così rispondo almeno in parte ad Emanuele), Edwards potrebbere dare il proprio endorsement ad uno dei due, portando in dote il 15% di delegati raccolti fin qui: non tanti ma sufficienti a rompere l'equilibrio. Se Obama finisse secondo, potrebbe accettare di correre come vicepresidente, con l'occhio alle presidenziali del 2012 o 2016, in cui sarebbe venuto meno il suo unico punto debole, la carenza di esperienza (ma anche il vantaggio di correre, almeno in parte, come outsider all'establishment). Un altro scenario è l'entrata in gioco di candidati indipendenti. Il sogno di molti è Al Gore, che però si è tenuto fin qui estremamente sotto traccia, troppo per pensare seriamente di correre, ma che potrebbe ripensarci, magari per dare un dispiacere ai Clinton, con cui i rapporti sono decisamente freddini. Più probabile, invece, la carta Bloomberg, il miliardario sindaco di New York, che da mesi nega di voler candidare, ma che fa fare sondaggi d'opinione e lascia intendere di essere pronto ad investire in un'eventuale campagna 1 miliardo di dollari.

Non resta che aspettare domani...

PS: all'inizio di Gennaio avevamo scritto un breve pezzo sull'Iowa, in cui spiegavamo cosa sono i caucus e presentavamo alcuni dei candidati. Se vi interessa, lo trovate su Questotrentino.

2 commenti:

  1. Anonimo00:04

    ciao amici, mi piace molto il vostro blog ma soprattutto questi post elettorali!
    Baci
    Silvia & mr. fagiolo

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  2. Evviva i lurker che escono allo scoperto :-)
    E saluti a mr. fagiolo!

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